La festa di Sant’Antonio Abate è uno dei momenti più attesi dell’anno dalla comunità nicolosita, si svolge tre volte l’anno: in gennaio con la festa liturgica, nel mese di maggio con l’apertura della festa esterna e la prima domenica di luglio con i festeggiamenti estivi.
La festa del compatrono e protettore Sant’Antonio Abate, da secoli rappresenta per Nicolosi, un “tassello” importante ed essenziale del suo patrimonio storico, religioso morale ed affettivo. L’insieme unico di fede e tradizione, arricchito dalla componente di folklore e spettacolo, fa della festa una caratteristica espressione del rapporto vivo e autentico con il Santo.
Sant’Antonio è particolarmente venerato in diversi centri siciliani, a lui è stata affidata la protezione degli animali domestici, delle case, dei campi e raccolti ma soprattutto nella zona etnea, la difesa dai terremoti e dalle eruzioni. A Nicolosi è considerato speciale protettore dal fuoco, in relazione al patrocinio sulla comunità contro il fuoco devastatore dell’Etna, infatti a seguito alla disastrosa eruzione del 1669, i nicolositi attribuirono al santo la protezione del paese, da allora egli è Compatrono e Protettore di Nicolosi. Diverse volte dinanzi al suo simulacro e a quello della Madonna delle Grazie e del patrono Sant’Antonio di Padova, la lava distruttrice ha cessato la sua corsa inesorabile verso il paese. La memoria di questa convivenza secolare con il vulcano e dell’intercessione miracolosa del Santo nel 1886, viene ricordata ogni anno, con grande fervore e partecipazione di popolo, in uno dei momenti più sentiti ed emozionanti della festa, “l’acchianata a Sciara”, dimostrazione di un attaccamento profondo verso il Santo, a cui ogni nicolosito si rivolge nei momenti di pericolo e bisogno.
Nel mese di gennaio, si ha inizio giorno otto con il Novenario di preparazione alla festa liturgica del Santo, chiamato dal popolo “a nuvena di Sant’Antoni”. Si assiste ad un considerevole coinvolgimento popolare nell’ascolto della Parola proclamata dal “predicatore”, ogni anno invitato per l’occasione. Il culmine di questo intenso tempo di preparazione viene raggiunto il giorno sedici quando il simulacro del Santo viene “svelato” davanti ad una folle di fedeli in attesa. Il diciassette, giorno della solennità liturgica, il clima di festa si instaura alle prime ore del mattino con la “veglia”, “l’uffizio” e le “preghiere penitenziali”; riti messi in atto dall’antica e venerabile Confraternita del Santo, fondata nel 1608. L’uffizio ha inizio con la nomina di tutti i confratelli defunti dai primi anni di fondazione ad oggi, poi segue il celebre rito della penitenza, dove tutti i confratelli simbolicamente coronati di spine, dall’ingresso della chiesa si recano in ginocchio all’altare maggiore, durante tutto il percorso ogni confratello simbolicamente si frusta con una cordicella, allo scopo di espiare i propri peccati. Segue poi la svelata del Santo alle cinque del mattino e la messa mattutina. Per tutto il corso della giornata si svolgono diverse celebrazioni eucaristiche e in serata si conclude con la messa celebrata dal vescovo e con la chiusura del Santo nella cappella. Tradizioni tipiche legate alla festa liturgica di gennaio sono: la distribuzione della carne di maiale alle famiglie del paese, tale manifestazione ne sostituisce una più antica per la quale ogni anno, un maialino veniva allevato dalla gente del paese e macellato nei giorni precedenti la festa; l’albero di Sant’Antonio, una raccolta di prodotti di vario genere, effettuata per le famiglie del paese, che vengono poi messi “all’albero” (asta) nel giorno della festa liturgica; la distribuzione del pane benedetto “i cucciddati di Sant’Antoni”, piccole ciambelline di pane distribuite ai fedeli nella giornata del 17 gennaio.
La prima domenica del mese di maggio, si svolge l’apertura dei festeggiamenti. Il ricordo di tale data è soprattutto legato a quando la festa esterna si svolgeva appunto a maggio (da dopo il 1926 a circa un trentennio fa). La cerimonia ha inizio con il corteo processionale che partendo da piazza Oberdan si snoda lungo le vie Garibaldi ed Etnea fino a giungere in chiesa Santa Maria delle Grazie. Al corteo prendono parte i confratelli della Confraternita del Santo, i membri del comitato festeggiamenti e i fedeli, presenziano il parroco e le autorità civili. Quando il corteo fa ingresso in chiesa, si assiste alla “svelata” del Santo dalla cameretta, a seguire una Santa Messa di ringraziamento e la benedizione con la reliquia, concludono la giornata festiva.
Tradizioni del passato
Nicolosi, ogni anno rende omaggio al suo Compatrono e Protettore Sant’Antonio Abate, tributandogli solenni festeggiamenti da tempi antichi e ormai lontani. Nell’avanzare inesorabile del tempo, dal passaggio da una generazione all’altra, la devozione verso il “padre del monachesimo”, ha animato le nostre famiglie e la festa ha assunto oltre ad un carattere religioso e culturale, anche un importante aspetto sociale e storico della comunità e di quanti vi partecipano.
Secondo antichi racconti e testimonianze popolari degli ormai pochi nicolositi viventi appartenenti a quella generazione, in tempi remoti e fino agli inizi del Novecento, la festa del Santo si svolgeva nel giorno a lui dedicato, il suo “dies natalis”, la sua “nascita in cielo” il 17 gennaio.
Da notizie comuni, fino agli anni 20 del XX secolo, i solenni festeggiamenti in onore al Santo si svolgevano annualmente quindici giorni dopo la Pasqua; successivamente (dopo il 1926), per motivi soprattutto climatici e per il tempo incerto della stagione, la festa venne spostata alla prima domenica di maggio e poi infine alla prima domenica di luglio, come ormai viene svolta attualmente da più di un ventennio.
Nel periodo in cui la festa si svolgeva la prima domenica di maggio, i festeggiamenti in onore al Santo, iniziavano il venerdì, con l’apertura della tradizionale fiera dei prodotti agricoli e del bestiame, andata poi in disuso con il tracollo della struttura economico-agricola della comunità. Questa fiera, che si svolgeva nelle vie del Calvario e Gibuti nei pressi di Piazza San Francesco, per anni ha rappresentato lo “spaccato” della società dell’epoca, dedita all’agricoltura alla pastorizia, all’allevamento e alle attività produttive legate con la vita lavorativa del paese. Alla figura di Sant’Antonio è stata affidata nei secoli la protezione degli animali domestici e dei campi, elementi importanti nella vita quotidiana, nel lavoro e nei trasporti. A Nicolosi, lo testimonia la benedizione degli animali e del bestiame, che da anni si svolge in via Calvario e in piazza San Francesco. Fino agli anni 70-80 del XX secolo alla benedizione seguiva una corsa di cavalli che si svolgeva per le principali vie del paese.
Altra tradizione legata alla festa, era l’apertura del “Carro allegorico di Sant’Antonio Abate” e “l’Entrata dei Cantanti”. Fino al 1950, infatti, il sabato sera dopo il rientro delle reliquie dei Santi Patroni, in Piazza Vittorio Emanuele vi era grande festa, con gioia per tutto l’anno, all’epoca veramente la festa si attendeva come principale momento di aggregazione sociale di tutta la comunità. Vi erano due partiti, San Francesco e Piazza, che rappresentavano le due fazioni in cui veniva suddiviso il paese: San Francesco per i quartieri Timpo e Calcare, la parte ovest del paese; Piazza per i quartieri Centro e Taporro, la parte est del paese.
Ogni partito, era rappresentato da un “capocantata”, ovvero l’organizzatore principale, fra cui ricordiamo i nomi di Giuseppe Grasso per il partito San Francesco e Nino Magrì per il partito Piazza, entrambi furono capitani negli anni del dopoguerra. I gruppi, partendo da piazza San Francesco con fiaccole e girandole, proseguendo per via Garibaldi giungevano in piazza, dove l’apertura del “Carro Allegorico” dava inizio alle “Cantate” che si svolgevano su di un caratteristico palco in legno, simile nello stile al palco della musica dei festeggiamenti di Sant’Alfio a Trecastagni. Il palco fu distrutto dopo gli anni 50 del XX secolo. Infine la serata veniva conclusa da un multiforme gioco di fuochi d’artificio. La domenica della festa, la gente si svegliava di buon mattino per prendere parte alla Santa Messa mattutina e alle varie celebrazioni. A mezzogiorno, come da tradizione, vi era la “Nisciuta”, l’uscita del simulacro di Sant’Antonio che posto sul fercolo si affacciava sul piazzale antistante la chiesa, gremito di gente, un popolo tra acclamazioni e saluti accoglieva il Santo che dopo un anno ritornava tra i fedeli. Il percorso della prima processione esterna, è quello più legato alla tradizione: la salita per via Etnea a ricordo e ringraziamento del Can. Angelo Bonanno, fondatore della chiesa Santa Maria delle Grazie, residente nell’edificio che attualmente ospita la Tomarchio, il passaggio per via Mazzaglia, la parte più antica del paese, dove sorgeva la chiesetta di Santa Maria delle Grazie, rimasta illesa dall’eruzione dei Monti Rossi nel 1669 ed infine la tradizionale sosta in piazza San Francesco e via Calvario per la benedizione degli animali. La seconda processione esterna si svolgeva in serata come ai giorni nostri, il Santo percorreva e vie del paese, mentre in piazza si dava luogo a spettacoli musicali di intrattenimento. Il lunedì mattino il fercolo percorreva la parte ovest del paese, mentre nel pomeriggio a differenza di oggi, verso le 17 circa, la processione usciva dalla chiesa madre, il popolo con il simulacro di Sant’Antonio Abate, si recava molto presto alla “Sciara” a causa dell’energia elettrica che arrivò a Nicolosi solo nel 1922. La salita di corsa “alla sciara” – cioè nel luogo di poco a nord di viale della Regione sotto i Monti Rossi dove nel 1886 per intercessione del Santo si fermò il braccio di lava che più da vicino aveva minacciato l’abitato di Nicolosi – è da sempre stato il “clou” della festa, ovvero il momento dove viene esternata la vera devozione che il popolo nutre verso il Santo protettore. Ogni anno, infatti, anticamente a spalla e su fondo naturale (terriccio), oggi col fercolo a ruote, si sale di corsa sul luogo del miracoloso evento, dove si svolge una cerimonia di ringraziamento dinnanzi all’altarino votivo dedicato al Santo. Terminata la cerimonia, il fercolo scendeva lentamente dalla Sciara e rientrava in Chiesa Madre, dove rimaneva esposto alla venerazione dei fedeli. A mezzanotte tra acclamazioni e canti di gioia la “vara” portata dai rigorosi devoti, lasciava la chiesa madre e salendo per via Garibaldi giungeva in Piazza Oberdan, dove sostava. In seguito la popolazione devota seguiva la processione, che giunta a metà via Garibaldi si fermava, per dare spazio ad uno spettacolo pirotecnico, chiamato dal popolo “u focu da via Garibaldi”, offerto dagli abitanti del quartiere. Dopo l’esecuzione dello spettacolo, la processione riprendeva il percorso per via Etnea giungendo in chiesa Santa Maria delle Grazie verso l’una di notte. Tra gridi e acclamazioni di gioia il Santo veniva riposto nella cappella eretta nel 1920 dallo scultore nicolosita Vincenzo Torre, a cura dei reduci combattenti della guerra 1915-1918. Solo dal 1950 il Santo viene chiuso in una cappella interna,e viene riaperto due volte l’anno: il 17 gennaio (festa liturgica), per l’apertura dei festeggiamenti (prima domenica di maggio) e a luglio in occasione dei festeggiamenti esterni.
I miracoli e gli ex-voto
Tra le espressioni più antiche ed interessanti della fede popolare si collocano gli ex-voto, di cui quasi tutti i Santuari e anche alcune chiese parrocchiali d’Italia possiedono collezioni più o meno ricche. L’ex-voto consiste generalmente in un’offerta fatta ad un Santo, in segno di riconoscenza per la grazia ricevuta. Fra le raccolte di ex-voto degna di nota è senz’altro quella che si trova nel Santuario di Sant’Alfio a Trecastagni, per numero di tavolette votive, più di mille, è la prima della Sicilia. Anche a Nicolosi, presso la “la casa dei miracoli”, acanto l’ingresso della chiesa parrocchiale Santa Maria delle Grazie, sono conservati ed esposti degli “ex-voto” lasciati nei secoli a perenne memoria di grazie ricevute, ognuna delle quali testimonia “storie umane” vissute e fatti realmente accaduti. Si tratta di una rassegna iconografica, che oltre ad un valore artistico, riveste anche un valore antropologico ed etnografico di facile lettura. La tavoletta “ex-voto”, assolve la duplice funzione di comunicazione e attestazione di “miracolo”, ottenuto per intercessione del Santo. I quadretti dipinti ad olio (qualche volta a tempera), su tela, cartone, legno, e specialmente su lamiera, che appaiono in questa numerosa rassegna, mostrano quasi tutti, oltre alla data, al nome del miracolato e alla descrizione del “miracolo” la ricostruzione scenica di esso. Il Santo è raffigurato in tutte le tavolette, che narrano le circostanze in cui è avvenuto il “miracolo”, spesso nella vesti umili e povere di monaco, talvolta rivestito di paramenti abbaziali, altre volte figura la stessa immagine del simulacro venerato a Nicolosi, riprodotto in copia. In quest’arte ingenua che si può ben definire “naif”, si esprime la riconoscenza popolare, i più antichi ex-voto si riferiscono alla fine dell’800 mentre i più recenti sono dei giorni nostri. Tanti i pannelli per raccontare i miracoli, per descrivere le molteplici vicende umane che si sono verificate nell’arco di più secoli, per tramandare la storia di tante persone comuni dalle quali traspare l’autentica anima popolare di queste genti, in una sequenza temporale che, attraverso questi dipinti, giunge palpitante fino a noi, raccontandoci le varie epoche che si sono susseguite fino ad oggi. Ogni dipinto una grazia, ogni scena una testimonianza genuina di una cultura contadina che non c’è più, uno spaccato di storia, di economia, di costume, si potrebbe riempire un libro, con tante storie diverse da non dimenticare, ma bensì da raccontare. È interessante constatare come, attraverso questi dipinti, si rivivono la storia, l’evoluzione dei tempi, il mutamento dei costumi,dell’abbigliamento, degli arredi, dei mezzi di trasporto e locomozione, infatti dall’800 alla metà del secolo successivo il filo conduttore è quasi sempre il cavallo (qualche volta i buoi) con l’immancabile carretto. Il cavallo e il carretto come mezzi di spostamento, ma a volte artefici di sventure. Dunque bisogna incaricare un pittore di carretto per realizzare un “ex-voto”, cioè fare un’offerta al Santo in segno di riconoscenza e gratitudine. Tante sono state le persone salvate “da morte sicura” a causa di un cavallo. Col passare degli anni, l’uso della macchina o dell’autobus, diventa un fenomeno di massa, e i quadretti conservati, diventano lo specchio fedele della società che cambia, fino a giungere al 2000 e al nostro secolo ma sempre con la stessa fede e devozione di sempre. Molti dei quadri sono stati dipinti, su commissione dei “miracolati” stessi o delle famiglie, da esperti artisti popolari, specie da quelli che hanno consuetudine con un’arte semplice e ingenua, ma vivace, come quella dei carretti siciliani. Russo, Di Mauro, Torrisi sono firme ben note nella zona proprio per essere artefici di opere di una straordinaria e realistica policromia. Spesso è proprio questa calda ingenuità a rendere più credibili gli ex-voto e la potenza dei “miracoli”, come ad avvalorare nel popolo il dono della fede e lo spirito di riconoscenza al Signore e ai santi intercessori presso di Lui per le genti che lo invocano, pregano e venerano. Nella “casa dei miracoli”, annessa alla chiesa parrocchiale, oltre le tavolette votive, sono raccolti ed esposti altri generi di ex-voto, quali pezzi in cera raffiguranti parti del corpo guarite riprodotte spesso a dimensioni reali; oggetti legati ad un “miracolo” avvenuto, come guinzagli e catene per animali (speso buoi e cavalli); ciocche di capelli raccolte in nastrini rossi e soprattutto i tradizionali “abitini votivi” offerti da tanti genitori all’atto d’innalzare sul fercolo del santo i propri figli, spesso neonati o di pochi mesi. Altra tipologia di ex-voto, sono i “preziosi” in oro che durante i giorni della festa ricoprono il simulacro del Santo. Si tratta di svariati monili, appartenenti ad epoche diverse, offerti in segno di ringraziamento al Santo per una promessa o grazia ricevuta. In tutte le varie tipologia d’offerta, gli ex-voto, rappresentano un patrimonio umano da conservare e mantenere sempre vivo, nell’evolversi del tempo.
Il culto: cenni storici
Nicolosi denominata “Porta dell’Etna” perché ultima tappa per accedere al vulcano più attivo d’Europa, si è distinta nei secoli per la particolare devozione a Sant’Antonio Abate. Sorta nel periodo medievale, presentava già, oltre la chiesa di San Nicolò presso l’antico monastero benedettino, altre piccole chiese con a capo quello dello Spirito Santo. Tra queste una era dedicata a “Sant’Antonio di Padova” e l’altra alla “Madonna delle Grazie”. In una nota del “libro dei morti” degli anni 1655-1713, custodito nell’archivio della Chiesa Madre si parla proprio di quest’ultima: “Ai 18 ottobre 1675 si trasferirono li S.S. Sacramenti dalla chiesa della Madonna delle Grazie ove baviano stato dalli 18 agosto 1671 dopo il fuoco di Mongibello contandosi dalli 16 marzo 1669 che fu il fuoco, alla chiesa matrice sotto il titolo dello Spirito Santo”. La cappella, sebbene fosse piccola, fu scelta per il servizio sacramentale a causa dell’inagibilità delle altre chiese, provocata dalle violente scosse di terremoto in seguito alla disastrosa eruzione di quell’anno. L’incolumità della cappella suddetta, fece gridare il popolo al miracolo che ne attribuì il merito all’intercessione di Sant’Antonio Abate, in quel periodo infatti, già si venerava il Santo raffigurato nel medesimo simulacro ligneo che oggi si conserva nella chiesa parrocchiale sorta sullo stesso sito della precedente. La monumentale statua, il legno policromo e dorato, databile alla seconda metà del 1500 circa, considerate le sue caratteristiche intrinseche ed estetiche è un autentica opera d’arte. L’artista ignoto, volle sintetizzare in essa, forzando la realtà storica, la straordinaria vita del Santo. Il simulacro nella sua ieratica e sovrumana imponenza, incute in chi lo guarda rispettosa riverenza ed esprime la supremazia dei valori dello spirito sulle forze delle tenebre e del male. Il Santo, dal volto scuro ad indicare le sue origini africane e scavato a causa delle privazioni della sua vita, è seduto maestosamente, rivestito dai fastosi paramenti abbaziali. Leva la mano destra in alto nel gesto della benedizione, mentre con la sinistra regge l’argenteo pastorale. Il simulacro prima dell’eruzione del 1669, era già oggetto di una grande e profonda devozione popolare che si è mantenuta viva e vigorosa fino ai nostri giorni. È difficile rintracciare ed individuare le antiche origini di tale devozione a Sant’Antonio, assai diffusa in Sicilia e soprattutto nella parte orientale e nella zona dei paesi etnei. A questo proposito è nato quel famoso adagio dialettale “Santu Mauru a Varanni Sant’Antoni a tutti i banni”, ovvero “San Mauro a Viagrande, Sant’Antonio in ogni luogo”, poiché mentre San Mauro è patrono a Viagrande, piccolo centro pedemontano, Sant’Antonio oltre ad essere patrono di diversi centri etnei è molto venerato in altri paesi, molte sono le chiese in cui è presente anche solo un dipinto o statua che lo raffigura, a cui viene tributato un culto di minor rilievo rispetto a dove è patrono. Il culto al Santo eremita, come quello tributato ad altri Santi della Chiesa orientale, quali Santa Barbara, San Giorgio, San Nicola, San Biagio, si affermò e diffuse in Sicilia al tempo della dominazione bizantina. Avranno anche certamente contribuito a diffonderlo i monaci basiliani, le cui comunità fiorirono nei vari monasteri, sorti numerosi, soprattutto nella parte orientale della Sicilia e dei quali ci restano ancora tanti gloriosi ruderi, ricchi di suggestivi e mistici ricordi. Ma perché i Nicolositi scelsero Sant’Antonio Abate come loro protettore e lo venerano con tale sentita e profonda devozione? La gente comune, di solito, preferisce rivolgersi a Santi semplici, che vede più vicini, ai quali pertanto affida particolare protezione di una parte del corpo, degli animali, delle case o dei campi o la difesa da qualche terrificante evento della natura. Per questo alla base di una scelta ci sono sempre validi motivi che la giustificano e sono tanti quelli che, spiegano la predilezione preferita dagli antichi nicolositi, per Sant’Antonio. Motivi di affinità di vita, di particolari comportamenti e di simpatie, ma anche suggeriti dall’eccezionale situazione topografica del paese, che si distende sui fianchi di un vulcano, sempre attivo e minaccioso, l’Etna. Anche sei il toponimo di Nicolosi si fa giustamente risalire a San Nicola, titolare del vicino, vetusto monastero benedettino, e, pertanto, giustamente si argomenta che sarebbe stato più logico e naturale scegliere questo santo come protettore del comune, tuttavia i nicolositi, per la maggior parte, contadini, pastori, boscaioli, guide dell’Etna, abituati e costretti a vivere sulle solitarie ed impervie pendici del vulcano, videro in Sant’Antonio (giovane coraggioso e risoluto, che, senza rimpianti e senza ritorni, dice addio alle cospicue ricchezze ed alla vita comoda e preferisce quella stentata e combattuta tra le asprezze solitarie e le rinunzie dei monti brulli della Tebaide) un amico perfettamente solidale con loro, capace di poter capire tutte le loro rinunzie e le loro privazioni. Nella continua e caparbia lotta per strappare alle avare sciare un palmo di terra, resa poi fertile e feconda dal duro lavoro, il ricordo si Sant’Antonio, anch’egli impegnato in una rotta feroce e costante contro il male, era un esempio vivo ed uno sprone a non arrendersi. Ed anche i pastori, nelle loro continue e costrette solitudini, era dolce e confortevole ricordare quelle altre volontarie di Sant’Antonio ed immaginarlo vicino, compagno e protettore. Oltre alle difficoltà i Nicolositi si sentirono inoltre accumunati con Sant’Antonio anche nelle scelte e nelle preferenze. Nelle antiche iconografie il Santo è raffigurato, quasi sempre, in compagnia di animali domestici, essi che scorrazzavano nei cortili delle case dei Nicolositi, i cavalli, i muli, gli asini, una volta tanto necessari per il lavoro, e le pecore, i maiali, i polli, tanto utili per i bisogni familiari, così diventavano motivo di incontro con Sant’Antonio, che li prediligeva e li considerava compagni della sua solitudine. Ma egli fu scelto anche perché considerato protettore della famiglia e della vita domestica. Spesso il Santo è raffigurato nel gesto di benedire un focherello, che gli arde accanto; è uno dei simboli che lo distingue, poiché i simbolisti lo vollero come l’emblema della grande Carità verso Dio e gli uomini che gli bruciava dentro, ma anche come l’antico simbolo della famiglia. Negli antichi documenti, cosiddetti “rilevi” cioè i censimenti di allora, i nuclei familiari erano significativamente indicati con la bella e suggestiva espressione di “Fochi”. I contadini, i pastori, i boscaioli, le guide dell’Etna di Nicolosi dopo l’intera giornata trascorsa nel duro lavoro dei campi – allora si “sbilava” cioè si partiva all’alba e si ritornava all’imbrunire, dopo il tramonto del sole – si riunivano la sera, con le mogli ed i figli per cenare intorno all’umile mensa, nella povera casa, appena illuminata dal fioco chiarore di una lampada ad olio e riscaldata dal fuoco scoppiettante nel rustico camino. Nell’intimità della casa, al dolce tepore del fuoco, era naturale pensare al focherello, che rischiarava e riscaldava la solitudine di Sant’Antonio. Ma il fuoco, inevitabilmente richiamava un altro fuoco. Non quello “bella, iucunda, robustoso e forte” di San Francesco d’Assisi, ma quello terribile, travolgente e distruttore dell’Etna. I motivi di un singolare rapporto dei Nicolositi con il Santo sono soprattutto due: la familiarità di Sant’Antonio con gli animali e con il fuoco; Sant’Antonio, di solito, è raffigurato circondato dagli animali domestici ed anche dalle fiere del deserto, che popolavano sempre la solitudine degli eremi, che Egli privilegiava. La condizione prevalentemente agricola e rurale di Nicolosi favoriva la pastorizia e l’agricoltura, con il conseguente, necessario impiego degli animali, così i nicolositi videro in Sant’Antonio un amico, che gli avrebbe compresi ed aiutati nelle loro necessità e che avrebbe protetto gli animali affidati alle loro cure. Inoltre, il Santo, quasi sempre, è raffigurato con un focherello, che gli arde accanto e che illuminava e riscaldava le fredde notti del deserto. Il fuoco è simbolo della famiglia ed anche per questo i nicolositi, da sempre attaccati alla famiglia, che stimano come un prezioso tesoro, individuarono in Sant’Antonio, colui che avrebbe protetto e custodito i loro focolare domestico. Ma per loro, data la particolare posizione del loro paese, sui fianchi dell’Etna, c’è un altro fuoco, quello delle imprevedibili, impetuose colate della lava incandescente. Poiché erano ben coscienti che con le loro forze umane non avrebbero potuto mai contrastare quell’immane flagello, si rivolsero a Sant’Antonio, che più volte ascoltò ed esaudì le loro preghiere, salvando miracolosamente le loro case, le loro memorie, i loro beni ed il loro paese tanto amato: “Se Nicolosi ancora esiste lo deve certamente alla costante e valida protezione di Sant’Antonio”.
Dove e Quando
- 95030 Nicolosi CT (evento esteso su tutto il Comune)
- 17 gennaio, la prima domenica di maggio e la prima domenica di luglio
Info
- Confraternita di Sant'Antonio Abate
- Parrocchia Santa Maria delle Grazie, Via Santa Maria delle Grazie n. 7, 95030 Nicolosi CT
- https://www.facebook.com/SAntonio-Abate-Nicolosi-468883015511/
Foto
Video
Festa Sant’Antonio Abate – Nicolosi(CT) – Italy – integral suggestion. Video di Nunzio Rapisarda (2018).
Nicolosi, tradizione e devozione per la festa di Sant’Antonio Abate. Video di Sicilia Network (2017).
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Contenuti della pagina a cura di:Dario Rizzo